IL GABINAT VALTELLINESE

Si tratta di una tradizione, probabilmente di origine svizzera o tedesca (in tedesco "Gabe-Nacht" o "Nacht der Gaben"
significa notte dei doni), che si ripete ogni anno a partire dai vespri del 5 gennaio (il pomeriggio alle 15!) e che si protrae con orari diversi a seconda dei paesi per tutta la giornata del 6 gennaio. Il termine dialettale valtellinese "Gabinat!" deriva dal tedesco "Gaben Nacht" e sembrerebbe derivare dalla Baviera tedesca, dove alla vigilia di Natale, Capodanno e l'Epifania i ragazzi più poveri cantavano motivi sacri davanti alle abitazioni dei più abbienti per ricevere regali. A partire dal primo rintocco del vespro 5 gennaio, alle ore 15.00 (ma l'orario iniziale  a seconda del paese, può essere anticipato a mezzogiorno) chi per primo saluterà con l'antica espressione augurale di "Gabinat!" metterà il salutato in obbligo di pagargli pegno, di fargli un dono come ricompensa per l'augurio. In molti paesi i bambini  da soli o in gruppetti  vanno di casa in casa salutando tutti coloro che incontrano con l'antica espressione augurale di "Gabinat!", certi così di ricevere  frutta secca, piccoli doni e dolci, in particolare la "cupeta", fogli di ostia ripieni di un impasto di miele e noci. Tra gli uomini vigeva l'usanza che il perdente pagasse un bicchiere di vino bianco, il cui costo non era da sottovalutare. Il gabinàt diveniva quindi anche oggetto di scommesse tra i giovani (méter su il gabinàt) che stabilivano in anticipo quale avrebbe dovuto essere il premio in gioco. Pagare  il  "Gabinat!" è una questione di onore e che chi perde avrà tempo fino al 17 gennaio, giorno dedicato a San Antonio ed inizio ufficiale del Carnevale, per poter saldare il debito. Naturalmente
tra parenti ed amici si tratta di una gara di velocità e astuzia, in cui vince il primo tra i due che riesce a pronunciare la parola "Gabinat!" : al fine di poter soprendere l'altro si usavano strattagemmi, travestimenti e agguati assai fantasiosi.

Glicerio Longa in "Usi e costumi del Bormiese" (1912, riedito da Alpinia Editrice nel 1998), riporta il caso di due sacerdoti, uno mingherlino e molto basso  (al Sc'kenìn), l'altro corpulento ed aitante (don Doménik), vicini di casa ed amicissimi. Un inque di gennaio il prete grosso se n'andava alla parrocchiale per dir la messa cantata,  ma ogni tanto si voltava indietro guardingo, per tema di qualche sorpresa. Badava meno invece all'uomo che da lontano, sulla strada bianca di neve, gli veniva incontro con una gerla (grosso cesto di legno intrecciato che si porta sulle spalle come uno zaino)  dritto e rapidamente, come se essa fosse vuota, che lo incrociò in piazza, gremita da chi si avviava alla chiesa. Ad un tratto dalla gerla emerse il capo grigio dello Sc'kenìn, che  gridava sghignazzando: «Gabinàt!». "Te me l'èsc féjta sc'tòlta, ma te me la pagarèsc! (Tu me l'hai fatta questa volta, ma tu me la pagherai!) rispose don Doménik - in dialetto  livignasco, ma accettò lo smacco ed i due, tra le risa della folla, se ne andarono a braccetto in sagrestia. Si racconta che l'anno appresso, al Sc'kenín venisse d'urgenza chiamato al letto d'una puerpera, di cui aveva battezzato il rampollo nella giornata. Non è a dire come rimanesse, quando, entrato nella camera, sentì risuonare un allegro gabinat e riconobbe nella puerpera... l'amico don Doméník...